L'eremita e il leone. Il ruggito del cuore di leone al deserto infuriante.
Nel dipinto “San Girolamo e il leone nel convento” del Carpaccio, il santo ritorna dall’eremitaggio nel deserto con un leone che aveva ammansito togliendogli una spina dalla zampa. L’opera mostra il momento in cui i frati del convento vedono la belva e fuggono terrorizzati, non avendo fatto l'esperienza dell'eremita. Nelle tradizioni spirituali più antiche, spesso legate alla figura dello sciamano, aiutare un animale (materialmente, in sogno e nel mondo spirituale) significa poi stringere una alleanza con quella specie. E' quello che viene chiamato l'animale di potere, animale guardiano, alleato dello spirito o animale amico.
Ma come mai il leone accompagna quasi sempre l’eremita nelle sue peregrinazioni? La spiegazione più convincente e commovente viene proprio da James Hillman che ha scritto un bellissimo saggio sul pensiero del cuore.
Il libro è "L’anima del mondo e il pensiero del cuore", Adelphi, Milano, 2002.
Il leone ruggisce al deserto dell’anima, San Girolamo abita il cuore del leone. Qui la rabbia leonina non è associata all’aggressione, all’ostilità, alla violenza, ma alla vitalità delle emozioni, le passioni dell’anima rendono abitabile persino il deserto.
Ma lo stesso discorso si può applicare alla giungla urbana, dove spesso la vita è vissuta come solitudine, anomia ed estremo individualismo di tutti contro tutti.
Non a caso, l’animale scelto dal santo è il re degli animali, un animale regale che diventa il guardiano di un sottile equilibrio tra rabbia e pulsione. La preghiera nasce proprio come diretta conseguenza della confessione o ricapitolazione, la necessità di spostare la riflessione da sé al potere indipendente ed evocativo delle immagini. Per dirla con Carlos Castaneda significa andare dal tonal al nagual, o per Michael Harner significa viaggiare dalla realtà ordinaria a quella non ordinaria.
Nel Fedro di Platone, come ricorda Hillman, Socrate significativamente nomina per primo Pan, il semidio figlio di Hermes e della ninfa Driope: “O Caro Pan, e voi altre divinità di questo luogo, datemi la bellezza interiore dell’anima e, quanto all’esterno, che esso si accordi con ciò che è nel mio interno“.
Pan è un dio potente e selvaggio, esteriormente è raffigurato con gambe e corna caprine, con zampe irsute e zoccoli, mentre il busto è umano, con il volto barbuto. Vaga per i boschi, spesso per inseguire le ninfe, mentre suona e danza. È molto agile, rapido nella corsa ed imbattibile nel salto.
È principalmente indicato come dio Signore dei campi e delle selve, protegge le greggi e gli armenti, gli sono sacre le cime dei monti. Tradizionalmente, indossa una nebris, una pelle di cerbiatto.
Nelle tradizioni afroamericane l'orisha (o orixa, il dio) corrispondente a San Girolamo è Shango (o Chango). Shango è re, leader, indovino, ballerino, grande amante, maestro nello suonare i tamburi ed accompagnare gli iniziati in stati modificati di coscienza.
Per l’eremita il ruggito del leone non è altro che il risveglio dell’anima.
Più grande è il nostro deserto interiore, più grande deve essere il nostro furore, e quel furore è amore.
Il cuore è anestetizzato, reso conforme all'ordine costituito, non reagisce a quello che ha davanti e con ciò trasforma il paesaggio in uniformità e monotomia.
Ciò che nel cuore è passivo, immobile, addormentato crea un deserto, e il deserto può essere curato soltanto dall'assertività della forza vitale istituente e libera, che esprime con un ruggito le sue cure che ridestano alla vita.
"Ruggisce il leone al deserto infuriante" ha scritto Wallace Stevens.
"Il nostro inconscio è il Selvatico" sostiene Gary Snyder.
Pelagio, (nome ellenizzato e latinizzato di Morgan (Marino) (Britannia, 360 – Palestina, 420), è stato un monaco cristiano, teologo e oratore britanno o irlandese di lingua latina) racconta la storia seguente.
Ci fu un pio anacoreta che si recò nel deserto per interrogare un eremita, più vecchio e più saggio di lui, sui "sublimi misteri della divinità", e si vide voltare le spalle dal vecchio.
Quando gli fu chiesto perchè non avesse voluto parlare con l'altro, l'anziano rispose:
"Se mi avesse domandato delle passioni dell'anima, gli avrei potuto rispondere; ma delle cose dello spirito non so niente".
IL VECCHIO EREMITA, CIOE', VOLEVA PARLARE DEL LEONE, NON DI SUBLIMI MISTERI!
Udendo questo, il pio anacoreta si scruto nel cuore, poi tornò dal vecchio e gli disse:
"Che cosa debbo fare padre mio, giacché sono dominato dalle passioni dell'anima?".
Ne parlarono a lungo, e alla fine il pio anacoreta poté concludere: "In verità, questa è la via dell'amore".
Marte ( il nostro pianeta che ci fa incontrare il coraggio dei sentimenti) è in attesa....facciamolo ruggire, lasciamolo agire!
In psicologia, il nostro furore legittimo viene addomesticato con eufemismi negativi: aggressività, ostilità, complesso del potere, terrorismo, ambizione, il problema della violenza. La psicologia psicoanalizza il leone, rendendolo un pupazzo da salotto.
Forse sbagliano quelli che cercano dei modi di aggirare l’aggressività.
È "aggressività" o non è invece il leone che ruggisce al deserto infuriante?
Non avrà, la psicologia, perduto lo zolfo, che in alchimia è simbolo maschile del sole, del fuoco, dell'attività, della coscienza, dell'individualità che ha trascurato Marte che cavalca il leone, Marte, l’amato di Venere-Afrodite?
La bellezza deve essere provocata alla vita con il furore, l’oltraggio, la provocazione, per andare oltre alla pigra e passiva acquiescenza politica, per risvegliare la persona dallo stordimento ipnotico davanti al televisore, o ancora per strappare l'individuo alla schiavitù dei nuovi media, evitando così la paralisi esistenziale.
Georges Orwell, con il suo libro 1984 è stato uno straordinario profeta.
Le passioni dell’anima rendono abitabile il deserto.
Non abitiamo una grotta di rupi, bensì il cuore che è dentro il leone. Il deserto non è in Africa o in Australia; è dovunque, quando si è disertato il cuore. I santi non sono morti; essi vivono nelle passioni leonine dell’anima, nelle immagini che ci tentano, nelle fantasie sulfuree e nei miraggi: la via dell’amore. Il nostro percorso attraverso il deserto della vita, o qualunque suo momento, è il risveglio alla vita come deserto, il risveglio della belva, sentinella del desiderio, la sua zampa famelica, infocata e insonne come il sole, esplosiva come lo zolfo, che incendia l’anima.Il simile cura il simile: la belva del deserto è il nostro custode nel deserto della burocrazia moderna, della bruttezza urbana, delle banalità accademiche, dell’aridità professionale e ufficiale: nel deserto della nostra ignobile condizione...Quel furore ci fa paura; non osiamo ruggire.
(liberamente tratto da J.Hillman e arricchito da chi scrive).
VIVERE IL SELVATICO PER USCIRE DAI LIMITI DELLA PSICOLOGIA ISTITUZIONALIZZATA, E RICOSTRUIRE DELLE SCIENZE ISTITUENTI, COME DICEVA GEORGES LAPASSADE
La psicologia della diagnosi ha perso lo zolfo e il leone. La psicologia medicalizzata ha perso il cuore del leone, il suo ruggito, potente come se fosse il re della savana. La psicologia cognitiva ha perso il pensiero del cuore cercando di padroneggiare e controllare ciò che non può essere controllato: l’anima.
La psicologia delle cattedre universitarie ha perso l’eros per la psiche cercando di ridurla in inutili catalogazioni senza sentimento.
La psicologia di oggi è fredda e vuota, una psicologia senz’anima, che a noi non interessa. Le università dovrebbero essere multiversità, mentre insegnano solo un punto di vista, quello accademico.
Ciò si ripercuote sui percorsi terapeutici dove si pensa più a dire ciò che è sbagliato e non è giusto, che a far emergere il ruggito e la passione della persona. Nelle sedute terapeutiche si tende a fare ciò che già la società fa benissimo, ovvero dettare leggi e regole, costringere, umiliare, castrare e imbrigliare la creatività delle persone. Probabilmente la psiche non ha bisogno di queste dinamiche, visto che è già cresciuta con esse. La psiche ha bisogno di spiccare il volo attraverso esperienze vive, ha bisogno di essere liberata.
Psiche e Eros devono unirsi, per generare bellezza, gioia e piacere.